Giocare era vivere, era una delle parti più importanti della giornata.
Giocare era bello, sano, costruttivo. In strada era molto più bello e avventuroso.
Rispettavi le regole, ti mettevi alla prova, ricevevi un premio. Imparavi a vincere ed a perdere.
Dimenticavi ogni altro argomento, ogni altra occupazione.
Tenevi allenato corpo e mente in una sfida fisica, di potenza e resistenza, di tattica, di logica, di memoria.
Chi ha giocato con i “carrettini”, piccoli trabiccoli con le ruote con cui lanciarsi a velocità su strade in discesa, sa che le sfide erano anche abbastanza pericolose. Un grande allenamento alla vita. Giocare a “mosca cieca”, a “quattro cantoni” (si gioca difendendo la postazione di uno dei 4 cantoni, altrimenti si perde il posto e si finisce al centro), a “palla prigioniera”, a “palla avvelenata”, a “nascondino”, a “sciancateddu” (che io chiamavo a “saltare”, perché non conoscevo il nome di questo antichissimo gioco in cui si salta tra le caselle di un percorso disegnato a terra) ti stimolava la velocità di reazione, l’attenzione, la strategia, le alleanze con i compagni, ma anche la respirazione, l’allenamento cardiaco, il metabolismo.
E soprattutto ti sporcavi!!
Che gioia poter muoversi in libertà, cadere per terra, strofinare le mani sui vestiti o in faccia, toccare la strada (e la sua durezza!), la terra, le piante, il fango senza limiti. Spingere i compagni, litigare e fare pace, nascondersi in anfratti, tenersi per mano, aiutarsi a saltare, abbracciarsi, festeggiare!